Sublimità del grottesco di Ida Isoardi

Caratteristico della creazione
è lo stato fluido, mutevole
transitorio
effimero
come la vita stessa.


Si deve riconoscere come creazione
tutto ciò che non è ancora divenuto
ciò che si definisce opera d'arte,
ciò che ancora non è stato “immobilizzato”,
ciò che contiene direttamente gli “impulsi” della vita
ciò che ancora non è “pronto”
“organizzato”
“realizzato”1

(Tadeusz Kantor)

Un'attitudine teatrale sta spesso alla base del processo mentale e tecnico che porta a realizzare opere comunemente definite “d'arte”.
Le parole di Kantor, grande drammaturgo, attore e artista polacco, ben si attagliano al mondo interiore e operativo di Cristina Saimandi dove non esiste spazio per prevedere o definire, una volta per tutte, il percorso che confluisce nel risultato finale. In realtà l'artista predispone scenari in cui si danno storie costantemente segnate dal “divenire”, siano esse figure, volti o maschere, ruggini, ambienti silenziosi dove qualcosa si attende o sta per accadere.In una recente intervista Cristina ha detto: “Ho creato una nuova pelle (in resina) ad una mia scultura di donna, modellata precedentemente con carta e nastro adesivo. L'ultimo strato superficiale in resina non è completo... è una pelle ancora da farsi nella sua interezza, così, bruciando il vecchio corpo, la figura risulta svuotata e in parte da ricucirsi”.
Si direbbe che l'artista abbia voluto riportare l'attenzione sulla dura poetica di Louise Bourgeois, storica autrice di inquietanti figure di bambole rozzamente ricucite e addirittura abbia fatto riferimento al tema materno (“A little maman”, lavoro non presente in mostra) enfatizzato dalla Bourgeois nella grande scultura-ragno intitolata appunto “Maman” ed esposta nel 2000 alla Tate Modern di Londra.
In ogni caso, la forza dei significanti messi in gioco da Cristina esclude qualsiasi lettura che non sia quella, cruda fino allo scorticamento o al bendaggio dell'immagine, di un ritrovato espressionismo. Le innumerevoli rinascite di tale categoria metastorica si configurano, nei lavori dell'artista, come sublimazione del “grottesco”, folgorante nel segno severo, contorto e senza veli che ne caratterizza l'operare.
La costante che accompagna la quasi totalità dell'opera della nostra artista è il concetto di metamorfosi. La portata di una simile ipotesi rivolta al campo dell'immagine suscita immediatamente infiniti rimandi poetici, letterari e visivi. La metamorfosi si muove in lei tra la passione per il mito classico e il suo completo disfacimento in una vertiginosa accelerazione verso il visionario assoluto, negazione della limitatezza con cui il mondo viene ancora suddiviso in “regni” ma, in questo caso, al culmine della piramide non si pone più l'uomo bensì il caos.
La fragilità, di cui l'artista si fa interprete in una magistrale e drammatica sequenza di volti larvali o mascherati, non si può intendere se non come coscienza di una totale precarietà dell'essere.
Infine, un aspetto non trascurabile dell'attività artistica di Cristina Saimandi riguarda la musica da lei praticata e porta a considerare il concetto di esecuzione. Se il linguaggio musicale non può che vivere nelle proprie esecuzioni, bisogna credere che anche l'arte visiva chieda, a chi la osserva, di ripercorrere il processo creativo dell'autore con legittime e infinite variazioni sul tema.
Questo presupposto si rivela di particolare importanza nell'accostarsi alle opere di questa artista proprio in virtù di quella polivalenza del segno che le fa esistere in un contesto dove i confini del visibile e dell'interpretabile non sono stabiliti.

1 Tadeusz Kantor, Manifesto della antiesposizione, in Il teatro della morte, Milano, 2003, p. 130.

Ida Isoardi